Trovandomi, fattasi sera, a transitare in quel del Lagastrello, e notando che Rianna ormai di camminare per sentieri e selve ne aveva abbastanza, mentre nei suoi pensieri era gia’ presente biada abbondante da ruminare a quattro zoccoli, pensai fosse il caso di andare a trovar rifugio per il pernottamento in quel di Apella, ove anni addietro avevo trovato riparo presso una vecchia abbazia abbandonata da tempo, ma ancora robusta nelle mura ed accogliente sebbene disabitata.
Intrapreso quindi il sentiero, non ci volle molto per raggiungere la meta, come non ci volle molto a capire che qualcosa, in quegli anni, era cambiato: nell’avvicinarmi all’altura, oltre alla mia curiosita’ e stupore, cresceva anche la musica di chitarre ed armoniche oltre che il vociar di allegre compagnie che tra quelle mura avevano trovato sosta e ristoro.
Ormai al termine della salita mi si presento’ dinnanzi un nuovo loco, ove la torre campanaria era tornata agli antichi albori, mentre le finestre erano di nuovo tornate a vita, illuminando a fasci la notte.
Ancora sorpreso dalla meraviglia dei luoghi, cosi’ pieni di vita al cospetto dei miei ricordi, venni accolto da Don Mario, un cordiale locandiere che, in breve, mi racconto’ come fu possibile una simil trasformazione, con l’aiuto di Enzo da Licciana, Governatore della Lunigiana, della Congregazione del Parco dei Monti d’Appennino sapientemente guidata da messer Giovannello, ma soprattutto con grande passione e sacrificio propri e dei suoi famigliari.
E mentre Don Mario, afferate le briglie di Rianna, la conduceva nella stalla per un meritato riposo, fui accompagnato da donna Barbara per una cena rinfrancante: certo, avevo capito da un po’ che non avrei cenato da solo e con qualcosa di piu’ che una ciotola di zuppa di cavolo, ma non mi sarei mai immaginato ne’ la cordialita’ dei commensali ne’ le prelibatezze proposte.
E’ vero, noi frati siamo usi condurre una vita umile, priva di vizi e dedita al prossimo, ma poi si sa’, ogni tanto, non da arrivare ai livelli di Bacco, ma…poco poco…….piano piano……..anche la gola e la panza ogni tanto vogliono dire la loro, ed allora, una tantum, perche’ non assecondarle?
E cosi’ mi si spalanco’ la porta della sala e da li’, dopo una breve presentazione, fu tutta musica, risate, ottima cucina ma soprattutto cordialita’ ed amicizia.
Mi sono ritrovato a banchettare con persone mai conosciute prima ma che l’ambiente, l’atmosfera, la condivisione del piacere nell’apprezzare questi luoghi, le tradizioni e queste vallate ha fatto si’ che la serata si tramutasse in una rimpatriata fra amici da sempre, con canti, battute e scherni alternati a portate di prodotti di quei monti, di quelle zone, di quella gente.
E cosi’ ho conosciuto Alberto da Chioggia che, stufo di frullare mucillaggine col pedalo’ nell’Adriatico mare, ha deciso un giorno di varcare le porte del Parco per rovinare le gambe a quanti si facessero affascinare dalle sue bici a pedalata assistita, nel senso che la pedalata era successivamente assistita dal personale sanitario del luogo; ed anche Vittorio da Spezia, grande capitano di ventura e vincitore di tante battaglie, ma soprattutto superbo musichiere di mille note; ed con lui faceva duetto Bob Menicucci Dylan, polmoni ed orecchio da invidia nel suonare una intera batteria di armoniche.
E mentre mi intrattenevo nell’illustrare la mia storia a donna Franca, prima persona che nel corso di mia vita prestasse cotanta attenzione su dove fosse mai Scarzara (Scarzara e non Scasazza, mi raccomando!) gli altri compagni di ventura Nando, Ferruccio, Paola, Bruna, Serafina, Sonia, Luca, Silvia e Giuseppe si facevano ammaliare dall’ugola dell’ancella Natashia e dai suoi versi di antiche storie.
Ma cio’ che ammalio’ veramente furono i fiumi di idromele che, se non affievoli’ ma rinforzo’ la voce per cantar stornelli, a poco a poco sego’ prima gambe e poi ragione e senno a tutti quanti!
E cosi’ si fece notte fonda, anzi primo mattino, senza che ci se ne rendesse conto, come sempre accade quando la compagnia e’ divertente ed affiatata.
L’unica a non aver libato l’idromele era Rianna che, abituata da sempre ad una sveglia sobria ed al buio, non manco’ nemmeno allora nel recuperarmi, caricarmi quale soma ed incamminarsi, con me aggrappato alle lunghe orecchie, di nuovo verso i crinali.
Il resto dei commensali continuo’ la baraonda fino al primo mattino quando Alberto da Chioggia dichiaro’ di non scorgere piu’ una lacrima di idromele sul fondo dell’ultima bottiglia ed allora, aiutati da Don Mario e Donna Barbara, ciascun commensale raggiunse le proprie stanze per proseguire canti, sapori e risate nel mondo dei sogni.